Friday, September 28, 2012

La parola del giorno: Penge / 1 - kontanthjælp


Ciao a tutti, 

il mio internet sta facendo le bizze (sarà che non si è ancora adattato al passaggio dall’estate all’autunno danesi?) e quindi purtroppo non riesco a postare alcun video...Comunque, colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha contattato in privato e su Facebook proponendo nuovi argomenti per i video: sono stati suggerimenti davvero preziosi, è sempre bello sapere cosa ne pensate dall’altra parte dello schermo. 


Tuttavia, avevo promesso un altro post sull’argomento kontanthjælp e quindi ne approfitto. Ho preso spunto da due reality shows (o come li chiamano qui, dokumentar = documentario) che ho visto in televisione, in cui si seguivano le vite di due persone molto diverse e per certi versi sono due estremi: una donna di poco più di quarant’anni in cerca di lavoro e Robert, che lavoro non lo cerca proprio.

Apro una piccola parentesi sul kontanthjælp (letteralmente contante=kontant e aiuto=hjælp), l’ultima ratio in termini di stato sociale danese: in caso una persona (con almeno 8 anni di residenza in Danimarca di cui ha lavorato almeno 2 anni e mezzo) sia senza lavoro, senza Akasse e con meno di 10.000 corone di patrimonio mobiliare o immobiliare, può accedere al kontanthjælp a patto che sia iscritto ad un Jobcenter (e diventa cosi un kontanthjælpmodtager: un beneficiario). I kontanthjælpmodtagerein Danimarca sono circa 170mila individui. Il minimo è 3.214 corone per gli under 25 che vivono con i genitori (una sorta di paghetta statale), mentre il massimo  è 13.732 corone per adulti senza lavoro. Come fare per il kontanthjælp? Occorre rivolgersi al Jobcenter del proprio comune.


Torno ai due esempi. Purtroppo non mi ricordo il nome della prima ma era un caso che mi ha colpito. Confesso che inizialmente mi sono sentito quasi “tradito” dalla Danimarca. In breve: lui ha un buon lavoro, lei è una segretaria d’azienda che non ha lavoro da due anni, di cui l’ultimo anno senza nemmeno colloqui. Loro hanno due figli ed una casa medio grande non lontano da Copenhagen. La sua Akasse, di lei, sta per finire, dopo due anni. Durante il documentario, lei va a due colloqui ma non riesce ad avere il lavoro. Dato che hanno casa e macchina, lei non può ricevere il kontanthjælp e sono costretti a vendere la macchina per non finire in perdita a fine mese. Ma come? La Danimarca non era il paese dove comunque nessuno muore di fame? Eppure se vuoi che lo stato ti garantisca la sopravvivenza…devi vendere casa, macchina etc., finire i soldi del ricavato ed infine interviene il kontanthjælp. Pensandoci meglio, è proprio questo lo spirito del kontanthjælp: nessuno muore di fame. Certo, fa male pensarlo nel caso ci fossimo noi: per me la casa è sacra e dovere vendere la casa nel caso non si abbiano soldi sembra un copione di un film americano. Tuttavia, questo non vuol dire che lo stato (cioè i taxpayers, per dirla all’americana) debbano garantire a tutti di avere una casa di proprietà.  

L’altro esempio “estremo” è Robert Nielsen, per i fans “Dovne Robert” (il pigro Robert), che è diventato in pochi giorni una celebrità. In particolare, Robert ha 44 anni e vive di kontanthjælp da 11 anni, dicendo che quella somma gli permette sfuggire allo sfruttamento e dall’accettare lavori sottopagati, che lui identifica in lavori pagati meno di 100 corone all’ora. Facciamo un rapido conteggio: 37 ore di lavoro alla settimana per quattro settimane al mese fanno circa 100.000 corone nette all’anno (ho fatto un calcolo approssimativo), cioè poco più di 8.000 corone nette al mese. Certo, non si potrebbe vivere in centro a Copenhagen, si dovrebbero fare rinunce e soprattutto bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni ed andare a lavorare anche se non se ne ha voglia.
Non voglio fare il moralista, per carità, il disagio dei giovani che non trovano (ed alcuni nemmeno cercano lavoro) non può essere semplificato. Ma Robert no. Robert è riuscito a stare disoccupato negli anni 2000 in Danimarca, dove la disoccupazione era dello 0,2%. Bisogna impegnarsi. Se Robert può vivere senza lavorare è perché molti, invece, si svegliano controvoglia per andare ad un lavoro che li disgusta e li sottopaga perché credono davvero che il lavoro nobiliti, cioè lavorano per vivere e per far vivere Robert. Fortunatamente, la favola ha un lieto (?) fine. Robert ha trovato un lavoro all’altezza delle sue aspettative, anzi due: sarà colonnista (sì signori, giornalista) per DR2 e BT, una rete televisiva ed un giornale locali.

Ho sempre pensato di avere una visione molto nordica dello stato sociale: uno stato che si rispetti dovrebbe garantire a tutti la sopravvivenza, dovrebbe garantire a tutti di avere le stesse possibilità di realizzarsi e dovrebbe anche essere solidale fiscalmente e culturalmente. La Danimarca ci è generalmente riuscita, anche se conserva un certo paternalismo e pedagogismo culturale di fondo. Come tutti i welfare states che si rispettino, anche il welfare danese parte dal presupposto che tutti vogliano lavorare e vogliano contribuire allo stato sociale. La vera radice dello stato del welfare implica che i paganti siano in maggior numero dei beneficiari. Per questo, trovo giusto (anche se rode) che lo stato non debba pagare la casa di una famiglia che sta vivendo al di sopra delle proprie opportunità, almeno temporalmente. Trovo anche giusto che non si debba pagare Robert. Per usare le parole di un politico conservatore locale (non che sia un suo fan…) “è un diritto non volere lavorare; tuttavia non mi sembra giusto non lavorare a spese di tutti gli altri che lavorano”.

Sarà per questo che da molte parti ormai viene predicata una riforma del kontanthjælp che vadano verso un maggiore coinvolgimento dei beneficiari. Cioè, che si riduca il rischio passivo : si prevede che per i beneficiari il dovere di accettare lavori offerti dal Jobcenter con un massimo un mese di totale assenza dal lavoro), il dovere per gli under 30 senza istruzione superiore di iscriversi a corsi professionalizzanti.

I soldi, si sa, non fanno la felicità, però sappiamo anche che aiutano. Dati i brutti tempi, le televisioni ed i giornali danesi stanno dedicando molta attenzione al “penge”.  (E non preoccupatevi, non ha una pronuncia strana…si pronuncia proprio come si scrive: penge, con un accento acuto sulla prima vocale, qualcosa tipo pénge). Questo post ha un /1 perché vuole essere il primo di due dedicati a condividere con voi la concezione del penge in Danimarca. O almeno, quello che credo di averne capito io.

Ci diciamo sempre che uno dei fattori positivi della Danimarca è quello di avere una società quasi senza classi, nel senso che a nessuno importa che lavoro si faccia o che posto si occupi nella scala sociale, data che le relazioni sociali non si costruiscono su questa base. Personalmente, credo anche che la Danimarca sia ancora uno dei pochi paesi al mondo dove il semplice fatto di avere un lavoro garantisce la possibilità di una vita indipendente, incluso una casa. Non importa che lavoro si faccia. Insomma, sembra che il lavoro in Danimarca nobiliti davvero.

Un abbraccio a tutti ed ancora scusate per la lunghezza, avevo poco tempo.
Francesco

Monday, September 17, 2012

Donne donne...oltre alle gambe c'è di più

Ciao a tutti!
Di ritorno un weekend a Copenhagen, avere rivisto alcuni amici ed avere salutato un amico che se ne va, torna la rubrica sulle notizie danesi...dopo la pausa estiva ed una piccola riorganizzazione del blog (che assomiglia sempre di più ad una rivoluzione permanente...), anche i giornali di carta e via etere in Danimarca hanno ricominciato a viaggiare a pieno regime.

La notizia più interessante, o almeno distante da quello che siamo abituati a vedere, è la ledership dei partiti che compongono la maggioranza in Danimarca (il Rød Blok, il blocco rosso) sono tutte donne, di età compresa tra i 28 ed i 45 anni. Il primo ministro (Helle Thorning-Schimt) e la leader di Radikale Venstre (Margrethe Vestager) hanno sorpassato la quarantina, il segretario di SF è sulla trentina mentre la portavoce di Enhedslist (lista di sinistra ecologista senza un segretario ma un comitato di segreteria coordinato da un portavoce) è intorno ai 28 anni. La più recente in questo "club delle quattro" è il segretario di SF (Astrid Krag, trent'anni, due bambini, sposata con un rapper locale), in sostituzione di Villy Søvndahl, il ministro degli esteri anti-europeista (???) e dall'inglese...originale e di cui molti volevano la testa.

Premetto che il punto positivo di questo quartetto non mi pare il fatto che siano tutte donne: è sicuramente un buon segnale, sebbene più folkloristico che altro in un paese dalla avanzata parità come la Danimarca. D'altronde, non sono mai stato un sostenitore delle discriminazioni positive, perché dovrebbero essere temporanee ma sono, al contrario, difficili da fermare e tendono a diventare permanenti. Meglio una donna o un uomo al governo? Meglio uno bravo. Io preferisco una persona capace di ricoprire un ruolo le cui decisioni avranno un impatto sulla mia vita. Che sia uomo o donna, sinceramente, non mi interessa più di tanto.

Piuttosto, ciò che mi colpisce in positivo è la varietà delle età del quartetto. La bontà di una classe dirigente si misura proprio, a mio avviso, dalla capacità di proporre ed accogliere diverse istanze. Ci diciamo spesso di come i danesi siano chiusi all'esterno, a quanto pare sono tuttavia molto aperti e mobili all'interno. In Italia ci lamentiamo che sono sempre i soliti, no?

Proprio l'età, d'altro canto, è a mio avviso un punto debole. Per esempio, Johanne Schmidt-Nielsen, la portavoce di Enhedslisten, ha recentemente finito l'università ed il suo lavoro è stato da sempre la politica (chapeau, comunque: riuscire a finire gli studi mentre ti fai eleggere in Parlamento non è da tutti). L'attuale ministro delle Finanze della Danimarca ha 26 anni. Non voglio dire che è necessario essere laureati per essere in Parlamento (e comunque non vuol dire che si sia intelligenti): occorre passione, capacità di trasmettere ideali, carisma, credere nelle proprie idee ed una buona dose di fortuna per essere eletti. Tuttavia, io preferirei che decisioni importanti venissero affidate a chi avesse almeno un po' di esperienza lavorativa, conosce la situazione dei lavoratori che vuole difendere, soprattutto a sinistra, conosca la difficoltà di far quadrare bilanci e risorse, abbia provato la responsabilità di sbagliare e ne abbia pagato le conseguenze.

Rileggo questo post e mi viene da sorridere. Ma abbiamo visto chi abbiamo in Parlamento in Italia al giorno d'oggi, tra giovani e non giovani? Mi sto lamentando che ci siano donne e giovani in politica? O forse non sarà che ne sono invidioso perchè avrei voluto essere dove sono loro (i giovani)? Forse entrambi. Il fatto di vedere tanti giovani occupare posizioni di rilievo in politica mi fa riflettere: io la trovo come la rottura di un tabù culturale (anzi, due). In Italia diciamo sempre che odiamo i politici di professione e che uno deve farsi la gavetta. In Danimarca ci insegnano che, innanzitutto, la politica è un lavoro, ed un lavoro vero. Sui generis, certo: non hanno nessun fiato del capo sul collo, ma in fin dei conti il loro capo siamo noi. Tocca a noi allora assumere responsabilità di esaminare da vicino quello che fanno e di non votarli. Non c'è nessuno da votare? Beh francamente lo trovo difficile da credere. Dall'altro lato, la gavetta è come una discriminazione positiva: rischia di diventare permanente. E di fatto, in Italia, lo è diventata: la classe dirigente è vecchia (59 anni di media) rispetto alla Danimarca, e molti giovani emigrano. Sul fatto che l'esperienza abbia creato dei buoni politici in Italia...beh! Ben venga allora la Danimarca che si assume il rischio di fare decidere a dei giovani!

Questa settimana ci sono state altre notizie interessanti... però me le tengo per un altro post... :)

Alla prossima puntata.
Buon lunedì a tutti.

Un abbraccio,
Francesco

Friday, September 14, 2012

Manuale di sopravvivenza in Danimarca: la pensione

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Ciao a tutti,

come disse un membro del gruppo Facebook di Italiani in Danimarca, “la maggior parte di voi ha in media l'età di Jobs quando lo buttarono fuori dalla Apple), ma se lavorate in Danimarca non dimenticate la pensione”. In effetti Italia e Danimarca hanno due sistemi pensionistici diversi: benché simili nella sostanza, sono molto diversi nella forma. Una cosa su cui mi sento di insistere è: non importa che ci vediamo o meno vecchi in Danimarca. Una volta che abbiamo la nostra pensione, possiamo farne quello che vogliamo. Molti pensionati danesi si comprano casa al mare in Italia e vanno li a svernare. Dal mio punto di vista è fare il meglio che possiamo ora, per avere il meglio che possiamo dopo.

Come funziona la pensione in Italia e Danimarca
Il sistema italiano va direttamente nella busta paga e detrae una percentuale a fini pensionistici (i famosi contributi) senza che il lavoratore debba pensare alla propria pensione, garantisce a chi ha lavorato una pensione più alta della minima in relazione al numero di anni lavorati ed ai contributi versati, senza che il dipendente se ne debba preoccupare. Il sistema danese invece garantisce solo la pensione minima e quinidi costringe a risparmiare fin da giovanissimi, a farsi mutui molto grandi su 30-40 anni per comprarsi una casa grande da vendere quando si andrà in pensione (andando ad arricchire il fondo pensione), oltreché a detrarre una parte del proprio salario a fini pensionistici, perché tutti riceveranno solo la pensione minima. Ogni buon danese di 30 anni ha a suo carico tre mutui: casa, macchina e studi (perchè se è vero che ogni studente danese riceve 6000 corone al mese per sei anni di studi universitari – circa 800 Euro – è pur vero che molti raddoppiano con prestiti d'onore perchè la vita nelle città universitarie maggiori è troppo cara).

Ok, ma in Danimarca? La folkepension
La pensione mimina è garantita anche in Italia, ma la pensione per chi ha lavorato dipende dai contributi, cioè da quanto il contribuente ha versato (percentuale del salario) e per quanti anni.
In Danimarca, tutti possono andare in pensione a partire dal 65.mo anno di età, indipendentemente da quanto si è lavorato. In Danimarca, la pensione minima (la folkepension) è garantita a tutti. Punto. Ma solo quella.
Gli stipendi all'estero sono più alti di quelli in Italia anche per questo motivo: il datore di lavoro non deve pagare nulla in più, tutto è in capo al dipendente.
Il resto di un ipotetico fondo pensione in Danimarca viene pagato dal lavoratore, trattenendolo volontariamente dal proprio salario, mettendolo appunto in un fondo pensione. Per avere l'intero ammontare della folkepension in Danimarca, è necessario passare in Danimarca almeno 40 anni dai 16 anni a 65. L'ammontare finale viene calcolato in quarantesimi , in base agli anni di permanenza in Danimarca, dal momento dell'iscrizione all'anagrafe (quando si ottiene il CPR). Per esempio, io sono arrivato in Danimarca quando avevo 31 anni, quindi potrò al massimo avere 34/40 di quella che in Italia chiamiamo la pensione sociale e che in Danimarca si chiama Folkepension.

Mi sembra la storia della cicala italiana e della formica danese...Ne discuto con alcuni danesi e dico “alla fine non mi sembra giusto che tutti riceviamo lo stesso, indipendentemente da quanto abbiamo lavorato (e quante tasse abbiamo pagato), perchè abbiamo contribuito differentemente al mantenimento del welfare”. Normalmente la risposta (candida, devo dire) è più o meno così: “Beh ma se hai versato molte tasse, vuol dire che hai guadagnato bene, quindi sta a te mettere da parte una parte del tuo salario in pensione”.


Cose da controllare quando si valuta un'offerta di lavoro in Danimarca.
  1. Salario su base annuale e non mensile: in Danimarca ci sono 12 mensilità mentre in Italia ed in altri paesi si applicano 13.80 o 13.92 mensilità. I paragoni, si sa, lasciano il tempo che trovano. Quando si cambia paese lo si fa anche e soprattutto perchè si ha bisogno di un cambio. Guadagnare di più o di meno, a questo punto, può non essere un fattore di cui teniamo in conto. Tuttavia, per avere un'idea di quanto guadagnerete e del tenore di vita che potrete affrontare, vi consiglio di prendere in considerazione il salario annuale.
  2. Piano pensione: come dicevo, in Danimarca l'impiegato può scegliere o concordare con l'impresa quanto trattenersi dallo stipendio e metterlo in un fondo pensione. Molte imprese offrono un piano pensione come parte dell'offerta di lavoro. Come per la A-kasse, pochi lo conoscono ma consiglio di farlo. Informatevi se c'è un'opzione presente nel contratto, in caso contrario contattate la vostra banca per un piano pensione privato. La quota del salario destinata al piano pensione non viene tassata (viene tolta dalla quota imponibile, quella su cui si pagano le tasse) e quindi si pagano meno tasse in totale, oltre a mettere da parte soldi per la vecchiaia.
  3. Il preavviso: in Danimarca, normalmente è di un mese durante i primi tre mesi e tre mesi per i seguenti tre anni di lavoro con lo stesso datore di lavoro, a crescere. Durante il preavviso, si continua a percepire il salario come se si lavorasse e le ore (ipoteticamente) lavorate, contano per il dagpenge. Se lasciate un lavoro per un altro, calcolate bene per non andare nei casini.
Spero che vi sia stato utile, anche se probabilmente noioso...aspetto i vostri commenti!
Come dice Umberto Eco, “Scusate la lunghezza, avevo poco tempo”.

Un abbraccio a tutti,
Francesco

Thursday, September 6, 2012

Manuale di sopravvivenza danese: Tak for sidst


Ciao a tutti,
Finalmente mi sono ripreso dalla depressione post-vacanze. Mi sono reso conto che una delle cose belle di vivere in Danimarca è partire per le vacanze. Perché una volta che sei abituato al prezzo della vita in Danimarca, soprattutto per i ristoranti, tutto ti sembra economico, uscire ai ristoranti diventa sempre di piú di un piacere e ti senti leggero leggero. Quando tornerai ”a casa”...beh innanzitutto non sarai piú in vacanza, e poi ti troverai a pagare una pizza margherita sui 10 euro e ti considererai fortunato.

Poi, complice il bel tempo delle destinazioni estive, ti sembra che tutti ti sorridano, il che mi ha dato l'idea per questo post. In principio, l'idea dell'interazione sociale ed umana è completamente diversa tra Italia e Danimarca (e vabbè, direte voi, mica c'è bisogno che ce lo dici tu). Eppure, a me non finisce di stupire. Per esempio i vicini: il vicino in Danimarca è tanto migliore quanto meno entra nella tua vita. Niente a che vedere con le sedie messe fuori dalla porta dai nostri nonni.

Per quanto riguarda i rapporti interpersonali, poi, io personalmente rimango spesso incastrato in alcune cose: prima, durante, e dopo la conversazione.
Innanzitutto, il saluto è una stretta di mano per le persone con un poca confidenza ed un abbraccio per gli amici. Una stretta di mano ferma ed un abbraccio senza pacche sulla spalla. Niente bacini, uno due o ”facciamo tre”, oppure ”partiamo dalla guancia destra o dalla sinistra?”. Nada. Mi ricordo uno dei miei primi giorni in Danimarca: venivo dal Belgio dove il saluto è sempre un bacio simultaneo e reciproco sulla guancia...immaginate la reazione del malcapitato danese???

Durante la conversazione, occhio al movimento del corpo, il famoso linguaggio non verbale. Finché non puoi dire di essere in confidenza (e l'alcol aiuta...) i danesi non si muovono, ti parlano guardando fissamente negli occhi e si aspettano che li si guardi negli occhi. A questo c'è anche una ragione pratica. Come ho scritto in un altro post, una volta dissi ad una mia insegnante di danese come facevano a capire tutte quelle piccole variazioni fonetiche fra parole che sono simili nella scrittura ma molto diverse nel significato. Quanto ci sarebbe voluto prima che anche io arrivassi a capire ogni parola? E lei mi rispose candidamente che ”Nemmeno noi capiamo ogni parola. Normalmente in una conversazione, noi danesi capiamo 50-60%, il resto lo indoviniamo dal contesto”. Per questo è importantissimo guardare negli occhi, anzi nelle labbra. Ti scappa una frase e sei fregato...

La cosa che più mi ha sorpreso, in positivo, è come si riallacciano le persone dopo l'ultimo incontro. Tak for sidst. Grazie per l'ultima volta. Anche se può sembrare triviale, è invece una parte fondamentale della cultura danese. Un modo per ricominciare, per richiamare la bella atmosfera dell'ultimo incontro, o forse solo per riallacciarsi. La cultura danese ha molte di queste piccole cose (no, non mi riferisco alle bandiere dappertutto...) che possono sembrare formalità, ma che io trovo una cosa molto bella e molto dolce, una cosa che potremmo e dovremmo imparare, piccole gentilezze che mettono di buon'umore. Soprattutto al ritorno dalle vacanze.

Buon ritorno a tutti!
Un abbraccio.
Take care,
Francesco